Recensioni:
La magia delle tele di Cristiana Crisafi
del 10 maggio 2013 pubblicato su http://www.tudonna.it/2013/05/la-magia-delle-tele/?fb_action_ids=10151600812600891&fb_action_types=og.likes&fb_source=other_multiline&action_object_map={%2210151600812600891%22%3A587722347918376}&action_type_map={%2210151600812600891%22%3A%22og.likes%22}&action_ref_map=[]
““Il tempo, fuggevole, inafferrabile, impalpabile, un’ onda di uomini e pensieri
in cui l’eroe è come la pecora, in cui la madre è come il figlio…”
Di certo il protagonista di questo articolo non si è lasciato intimorire dal “suo” tempo, visto che appena venticinquenne è già un punto di riferimento per la pittura genovese e europea. Francesco Gaeta nasce nel 1987 a Genova, dove con il tempo capisce di non essere totalmente adatto ad una vita fatta di soli codici e cravatte (ha conseguito di recente una laurea magistrale in Giurisprudenza), e decide di intraprendere una vita parallela fatta di tele, colori e mostre. Probabilmente questa spinta interiore si sviluppa anche grazie all’appoggio della sua famiglia e all’ambiente nel quale è cresciuto, ricco di spunti, creativo e stimolante.
La sua persona ritrae appieno queste sue due vite, gira per Genova con il vestito e con una massa spettinata di riccioli biondi. Sempre con il sorriso sulle labbra, naturalmente portato per le relazioni interpersonali riesce, grazie alla sua tenacia, ad aprirsi un atelier che diventa in poco tempo un luogo di incontro e di confronto.
Già chiamato ad esporre in alcune città importanti come Anversa, non si tira indietro quando gli pongo la domanda che si sarà sentito ripetere milioni di volte, visto l’uso di tre soli colori nei suoi dipinti.
“Francesco, che significato attribuisci ai colori che utilizzi nei tuoi quadri?”
“Utilizzo solo un colore: il rosso. Il nero e il bianco sono non colori. Il rosso rappresenta la passione, la vita, mentre il nero la tristezza, la desolazione, addirittura la morte…
Il bianco rappresenta un archè come quello della concezione greca per il quale rappresenta la forza primigenia che domina il mondo, da cui tutto proviene e a cui tutto tornerà e per chi vi crede rappresenta Dio.”
Dai suoi occhi traspare la passione e la tenacia che lo hanno portato fin qui. Pur avendo appena iniziato il cammino nel mondo dell’avvocatura, spero di poterlo vedere presto esporre in una luogo degno del suo talento.”
Genova 04 2011 - Comunicato stampa mostra “Sarah Gismondi Atelier”
Dal simposio di linee armoniche e ben definite che si alternano in una visione ora astratta, ora concettuale, prende vita una raccolta di opere davvero originale firmata Francesco Gaeta.
L’autodidatta, ventitreenne ancora per poco, ne viene da una formazione accademica estranea alla scuola d’arte: prima con un diploma di maturità scientifica, ora futuro giurista iscritto appunto alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova; ma ciò non conta, quando si parla di “fare arte”. Francesco, infatti, reduce da uno studio preciso e sistematico di codici e del sapere empirico, non rinnega l’importanza della concezione classica dei grandi Maestri rinascimentali e oltre, anzi, la rispetta. Ma come sostiene l’Artista: “l’arte si evolve, matura e cresce a pari passo con la storia dell’uomo”, ed è così che assistiamo oggi al boom di quell’arte alla portata di tutti, dove è l’oggetto comune che diventa arte e una singola pennellata che squarcia la tela significa più di mille parole, una corrente tanto semplice quanto profonda e ricercata nella sua traduzione.
Non si tratta più di frequentare la Bottega del Verrocchio, non si tratta di avere o meno una dote, si perde la tradizione secolare del ritratto e del paesaggio in cerca di una precisa somiglianza, si perde la ricerca del vero, ma si acquisisce la ricerca della verità. La società si è evoluta, e con essa anche le esigenze di noi spettatori. Dogmi, questi ultimi, di una forma d’arte che si sintetizza nel concetto generale di Arte Contemporanea.
Francesco Gaeta assorbe la modernità della sua epoca e la esprime rappresentando la sua personale ricerca dell’equilibrio. Un equilibrio che spezza l’effimera realtà di cui si vuole circondare l’uomo d’oggi, che squarcia la nebbia del nostro sapere e delle nostre percezioni. Un equilibrio nel disordine della confusione che si armonizza attraverso il contrasto del bianco e del nero che, nella visione di Gaeta, coesistono in una sintonia simmetrica esaltati dal rosso, quale simbolo di passione e di vita. Laddove il bianco e il nero siano non-colori, l’Artista tramuta la sua concezione di vita in una parafrasi di tonalità decise, dal significato chiaro e difficilmente fraintendibile: il nero è la morte, l’ignoto che lotta contro la vita e la passione -il rosso-, su uno sfondo bianco, che è l’archè dell’esistenza, la luce, il principio, l’identità.
Sei anni di lavori e di crescita artistica/personale, portano oggi Francesco Gaeta a una nuova esposizione delle sue opere nate dalla pura ispirazione, in cui si assiste all’evoluzione del suo pensiero; un sentiero che inizia da una concezione astratta di immagini simmetriche e che abbraccia infine una filosofia concettuale dell’arte e della vita, che evita di imporre la propria opinione, dove il significato viene infatti affidato allo spettatore, cui Gaeta offre a tal proposito il prezioso dono del libero arbitrio.
ROBERTA SAETTONE
***
Recensione del Dott. Pierangelo Davite per l’inaugurazione del nuovo atelier 01 12 2010
Nel percorso formativo di Francesco Gaeta la famiglia è stata rilevante.
I nonni materni e paterni hanno influenzato la colorazione della sua natura, il gusto della bellezza, della dignità razionale dell’uomo, le coordinazioni spirituali delle passioni, l’idea dell’educazione, la lingua dell’arte, il rigore logico-mentale, i valori umanistici, la fiducia nella ragione e nella dignità umana, un’estetica degli interiori territori umani, un’etica delle azioni esterne, una tendenza all’indagine, il gusto di scandagliare i fenomeni, l’istinto a comprendere e apprendere, lo sguardo attento alle lontananze, un ideale della conoscenza.
Non poco della natura di Francesco deve alla pienezza di vita di quelle presenze familiari che gli hanno trasmesso i valori che sono alla base del suo carattere e capacità.
Le sue opere presentano spazi geometrici, griglie, inquadrature, una successione di fotogrammi, squarci, visioni, strisce di territori che rappresentano il senso ultimo della realtà.
Oltrepassando i dati mutevoli della realtà fenomenica, l’oggetto artistico cerca l’essenza, i fondamenti, il nucleo, qualcosa che dia significato ad un principio, ad un fine o ad una fine.
Le composizioni iniziano con pochi colori rigorosamente primari, forte luminosità, denso senso del particolare, variegati reticolati.
Dal piano non scorgo fuoriuscita di colori o di linee.
Ma il significato non abita l’oggetto.
I quadri sono una composizione a tasselli, privi di tessitura, poiché ogni opera rientra in un insieme di rappresentazioni mentali dell’esistenza complessa, ondeggiante, contraddittoria, ma in cerca d’equilibrio.
I concetti sono intesi come attività speculativa concentrata nei collegamenti, connessioni, nessi tra gli oggetti che vediamo e l’esperienza mentale a cui ci rinviano.
I quadri non vogliono rappresentare la realtà, né fotografarla, ma alludere alla coscienza che permane e scruta oltre il visibile instabilmente concreto.
Un’arte che non si ferma al velo dell’apparenza, che svela alludendo, che spinge alla ricerca di un pensiero attraverso profili cartesiani di linee, colori, forme, contorni, ordine di movimenti e vibrazione di idee, intensa collocazione di luce vissuta sia come confine, sia come un sintomo, un indizio di presenze trascendenti, simili ad impronte come impressioni in rilievo.
Il significato è nel contesto, ciò che circonda il testo del quadro: l’idea, voce dell’immagine, si proietta fuori dall’oggetto artistico.
Come una certa ombra che i pittori chiamano aria.
E’ tangibile un bisogno di stile, di ordine, di nettezza, una cristallizzazione, toccata da tensione, verso forme simmetriche, organiche, misurate, equilibrate, proporzionate, bilanciando luce, colore, materiale, che di volta in volta agiscono come combinazione di fattori che si determinano vicendevolmente, conferendo all’insieme una necessità, un destino, un senso del tutto che nasce in noi ma ci porta fuori da noi, una figurazione del mondo in zone toccate dall’eterno.
Ogni quadro spinge oltre il piano del pensiero, che conduce al mistero che accompagna ogni desiderio di conoscenza e di verità.
E’ lì che sprofonda l’oggetto artistico: ornamento e significato sono paralleli; il quadro è un mezzo di comunicazione per trasmettere un accordo finale, un rapporto mentale che completa l’immagine finale.
Il quadro avvicina ad un esprimibile incorporeo.
L’arte non corrompe le idee, semmai è un tentativo di memoria respiratoria delle essenze.
E’ l’espressione della volontà di tenere gli occhi aperti per cercare di capire.
Osservo i suoi diversi quadri come un portolano, un vasto libro minuziosamente descrivente le caratteristiche delle nostre costiere mentali.
Lo spirituale dell’arte è un terreno senza fini e confini, come un fiume dai mille rivoli verso una foce sconosciuta, nel silenzio del tempo e dell’eterno, dove lo spirito e l’idea sopravvivono risplendendo come fari del cosmo.
I messaggi di Francesco sono un invito alla meditazione, a pensare a ciò che può restare oltre le ombre dei nostri movimenti, gesti, sogni.
Questa mostra è solo l’inizio del suo viaggio artistico, le tracce del cammino sono già visibili, il percorso e la meta si formeranno vivendo.
La cifra di questo artista è nel movimento delle idee in cerca di luoghi dove cogliere sensazioni e messaggi, senza tempo, e forse senza nome, della mente libera da tutto e da tutti.
Come ogni vero amante dell’arte, egli sa che riceviamo ciò che sappiamo dare.
Buona navigazione, caro Francesco, conserva, come sai fare, discrezione, gusto, sensibilità, uno stile di conoscenza sotto voce, che scova l’autentico nelle immagini infinite in cerca di un approdo, negli oggetti creati per la mente ma che entrano, alla fine, nel cuore.
Dott. Pierangelo Davite